Baba Hanna è senza dubbio la babuskha più conosciuta di Chernobyl. Hanna Zavorotnya ha 85 anni, è una donna sempre sorridente, forte e allegra. Dei suoi 85 anni interamente vissuti nel villaggio di Kupovate, 35 sono stati condivisi con le conseguenze di un disastro nucleare.
Hanna e la sorella Sonya, hanno sempre vissuto in questo villaggio, figlie di generazioni di contadini. Nel 1986 Hanna lavorava nel Kolkhoz (la campagna collettiva sovietica) insieme a tutta la sua famiglia, marito compreso. La sorella, Sonya, più vecchia di un paio di anni, non è mai stata autosufficiente. Non so dire esattamente quale fosse la sua patologia, ma sembrava trattarsi di una insufficienza intellettiva che le impediva di svolgere le più normali pratiche della vita quotidiana. Non parlava e non era in grado di deambulare da sola. Hanna si è occupata di lei per tutta la vita, fino alla sua morte avvenuta lo scorso 27 Dicembre 2020.
 

Kupovate è un villaggio situato a sud-ovest di Chernobyl e da sempre è stato un villaggio di kulaki. Qui è arrivato il terribile genocidio perpetrato da Stalin negli anni ’30, lasciando segni indelebili nei ricordi di queste donne, che all’epoca erano bambine. Intere famiglie furono sterminate dall’Holodomor.

La parola Holodomor racchiude la chiara descrizione di questa storia. Deriva da “Holodom”, ovvero infliggere la morte attraverso la fame. Nel 1928 fu avviata la procedura di collettivizzazione delle campagne rurali, ovvero venne destituita la proprietà privata delle campagne a favore di quella collettiva. Era l’epoca dell’Unione Sovietica. I contadini ucraini, grandi produttori di grano, non aderirono a questa scelta in modo volontario ed anzi, vennero costretti dai funzionari del Partito ad accettare la situazione, anche attraverso una violenta repressione per la quale fu adottata addirittura la pena di morte. Per tutti i dissidenti, in generale, fu scelta la via del sequestro di tutti i prodotti dei campi (grano, barbabietole, patate) ed anche delle sementi necessarie per gli anni successivi. Le vittime di questa carestia sono state stimate in dieci milioni. (Della storia del ‘900 dell’Ucraina ve ne ho parlato in questa intervista al mio canale youtube: https://www.youtube.com/watch?v=ameFxxrVjJM&t=2s).
A seguito di questo terribile sterminio, i contadini locali furono costretti a lavorare nei Kolkhoz, ed è in questo momento storico che è cresciuta Hanna, così come la sua vicina di casa Maria (di cui vi ho parlato in questo articolo: https://www.francescagorzanelli.it/chernobyl/ivan-e-maria/).
 
Quando queste donne erano ormai adulte, tutte sui cinquant’anni, abituate a una vita contadina che per loro era la totale essenza della loro esistenza, si trovarono a vivere un’altra drammatica pagina di storia: ovvero il disastro nucleare di Chernobyl. Furono evacuate dalle proprie case, qualche giorno dopo l’incidente, nonostante il villaggio di Kupovate non fu direttamente investito dalla nube radioattiva e ancora tutt’oggi non risulta essere contaminato. Furono allontanate, con tutta la famiglia, e portate a Kiev dove, a detta del Governo, sarebbero dovute rimanere solo qualche giorno. E invece passarono i mesi e loro, donne abituate ai ritmi di campagna, non ce la fecero proprio ad adattarsi alla vita nella capitale, tra il traffico, i supermercati, i grandi palazzi. In capo a un paio d’anni, molti di loro fecero ritorno ai propri villaggi, contravvenendo alle disposizioni del Governo. E’ da quel momento che presero il nome di Samosely, che in lingua ucraina significa “auto-insedianti”. Dal 1999 il villaggio di Kupovate, ovvero il luogo dove sono cresciute, dove si sono innamorate, sposate, dove hanno messo al mondo i propri figli, dove hanno seppellito i propri avi, è stato cancellato dalle mappe ufficiali. Queste donne vivono in un luogo non luogo, in una terra considerata di “alienazione”, ovvero dove vi è il divieto assoluto di vivere.
Loro non danno peso a questi dettagli, perchè qui la loro vita ha continuato a scorrere nella solita routine, hanno continuato a coltivare gli orti, ammazzare i maiali per essiccarne la carne per l’inverno, a raccogliere funghi e a seppellire i propri cari.
 
Hanna, in questi 35 anni,  ha perso il figlio, il marito e ora la sorella. Lentamente è rimasta sola. Lentamente ha vissuto una vita esattamente come la desiderava lei, nella sua terra, nelle sue abitudini. Lentamente è invecchiata, ma non ha mai perso il sorriso per un solo giorno di questi quasi 13mila giorni di vita da residente illegale della zona di esclusione di Chernobyl. E’ invecchiata senza cure mediche, senza televisione, nel frattempo non esistono nemmeno più i Kolkhoz perchè se ne sono andati insieme all’Unione Sovietica, la Guerra Fredda è finita, un’altra guerra è iniziata nel sud della nuova nazione, l’Ucraina, nata nel 1991, senza che se ne rendesse conto appieno, dato che per lei nulla è cambiato in quel paesino lontano dal mondo moderno. Se non fosse che non ha più vicini di casa, ad eccezione di Maria, che il furgoncino degli alimentari non passa più e se non fosse per gli stranieri che vanno a trovarla di tanto in tanto (me compresa), non avrebbe modo di fare scorta di zucchero, farina, latte, sapone e di tutte le cose che da sola non può prodursi. Da casa sua sono passati scienziati, studiosi, giornalisti e registi di tutte le nazionalità. Baba Hanna appare in tutti i video dedicati ai Samosely, in tutte le lingue del mondo. La potete vedere molto più giovane, poco tempo dopo l’evacuazione, al minuto 15:30 nel video che trovate nel link di seguito. (https://youtu.be/ZUf2ypH_9qo)
 
 
Personalmente ho conosciuto Hanna e Sonya nel Settembre del 2015 in una giornata senza cielo, di quelle tipiche dell’autunno ucraino. Hanna ha cucinato per noi una zuppa di patate e funghi, non senza farci lavorare! Ricordo che quando ci vide arrivare, si stava incamminando per andare nel bosco in cerca di funghi e allora pensò bene di approfittare del fatto che noi avevamo un furgoncino, per farsi accompagnare in un bosco più “ricco” e sfruttò anche le nostre braccia mettendoci alla ricerca insieme a lei. Il raccolto fu sorprendente e al rientro, mentre lei cucinava la zuppa, noi ci occupammo di pulire i funghi che poi avrebbe essiccato per farne scorta per l’inverno.
Quella per me fu una giornata incredibile. Mai nella mia vita avrei pensato di andare a funghi nella zona di esclusione di Chernobyl. Mi sembra quasi più incredibile e irrealizzabile che l’allunaggio! Una di quelle cose che quando le racconti fatichi a crederci persino tu che l’hai vissuta.
Come ben sapete i funghi sono vere e proprie spugne e se crescono in una zona contaminata, saranno inevitabilmente contaminati a sua volta. Come detto all’inizio di questo articolo, il villaggio di Kupovate non è contaminato, quantomeno nella zona dove vive Hanna, e questo le ha permesso di poter vivere in questa terra senza danneggiare troppo la sua salute.
 
Hanna e Sonya, così come Maria e suo marito Ivan, che ci ha lasciati un paio di anni fa, sono invecchiati senza patologie riconducibili a una vita in una terra contaminata.
Dei quasi 1200 Samosely che rientrarono a vivere nelle proprie case, molti se ne sono andati a causa di tumori o malattie del sangue forzate da una vita in una terra contaminata da Cesio137 e Plutonio, ma tanti altri, invece, hanno raggiunto la pace in modo naturale, per vecchiaia.
Queste sono storie straordinarie di resistenza, perseveranza, forza d’animo e profondo amore. Amore per la propria terra natia e per una vita lontano dal caos dei ritmi moderni.
Queste persone volevano continuare a vivere nelle proprie case, nelle campagne dove erano nate e cresciute intere generazioni dei propri avi e così hanno fatto.
Non hanno chiesto niente a nessuno.
Vivono in queste terre da quasi 35 anni senza disturbare nessuno. Nessun governo, nessuna manifestazione in pretesa di diritti o sussidi. Niente. Loro, colpiti da un disastro nucleare, non hanno disturbato nessuno. Hanno vissuto la loro vita esattamente dove volevano viverla.
Nel villaggio di Kupovate, che non esiste più sulle mappe, ora vivono solo Hanna e Maria. Tra loro non scorre una grande simpatia. Seppur siano vicine di casa, e potrebbero aiutarsi, non si sono mai andate a genio. Chissà che ora questa nuova solitudine non le spinga ad avvicinarsi?!
Il mio pensiero è sempre rivolto a queste donne, che mi mancano come l’aria. Non averle potute aiutare proprio in questo anno terribile, mi pesa come un macigno sul cuore.
Inoltre l’orologio biologico inizia a farmi temere di perderle senza poterle riabbracciare un’ultima volta, a causa di questa maledettissima pandemia.
 
(Solo nel 2020 sono morti 5 Samosely, su un totale di nemmeno 80. Non esiste un censimento ufficiale dei Samosely, pertanto non è facile indicarne il numero, come non è facile stabilirne l’età perchè molti di loro stanno perdendo la memoria e non tutti ricordano la propria data di nascita.)