Questa è la storia di un bellissimo progetto nato a un tavolo di un ristorante torinese, durante una fredda e nevosa sera di Febbraio.
A quel tavolo sedevano alcune persone davvero speciali e l’idea era quella di sfruttare le competenze e le passioni di ognuna di esse al fine di continuare a sensibilizzare al tema “Chernobyl”. Così si è pensato di unire la fotografia, i viaggi, la zona di esclusione e la solidarietà. Mentre mi avventuravo alla degustazione di una Finanziera, piatto tipico piemontese che fonda le sue origini nel Medioevo, era in corso un bellissimo brainstorming che coinvolgeva Nikon School, Arca Solidale e la Gorzanelli, nelle vesti di viaggiatrice seriale nella Zona. Se state leggendo queste righe significa che siete nel mio sito e sapete tutti di cosa mi occupo e probabilmente non faticherete a dedurre di cosa si occupa Nikon School, ma forse non conoscete Arca Solidale.
L’associazione (https://arcasolidale.it/), nata nel 2012, si occupa di accoglienza in Italia per il risanamento dei bambini che vivono nelle terre ucraine colpite dal “dopo-Chernobyl”, durante estate e inverno. Arca Solidale, non solo rivolge la sua attenzione ai bambini e alla loro salute, bensì ha un occhio di riguardo anche per le strutture presenti nei villaggi, nei quali i bambini vivono. Nel 2014/15 ha ristrutturato completamente l’asilo di Kuchynivka che oggi ospita 20 bambini dai 3 ai 6 anni. Nel 2017 ha portato a termine la ristrutturazione della cucina della scuola e nel 2019 la ristrutturazione totale della mensa, compresi elettrodomestici e nuovi arredi. La scuola di questo villaggio ospita circa 100 bambini dai 6 ai 17 anni che fanno due pasti al giorno, proprio in questa struttura. In questi villaggi rurali, dispersi nella sconfinata campagna ucraina, la scuola è il luogo di riferimento per i bambini e per le famiglie stesse. I ragazzini crescono in questi ambienti, non solo a livello culturale, ma anche come unico luogo aggregativo che i villaggi offrono. Tra gli obiettivi 2020, Arca Solidale ha l’ambizioso progetto di portare la linea internet alla scuola e, di conseguenza, anche al villaggio stesso. Occorrerà cablare un cavo per i 12km che dividono Kuchynivka da Snovs’k e sono certa che l’impresa riuscirà al meglio, conoscendone i protagonisti. Inoltre è in fase di studio anche l’installazione di una doccia all’interno della casa di una ragazzina diversamente abile e continueranno gli aiuti ai bambini più bisognosi attraverso la fornitura di abbigliamento, scarpe, libri e cancelleria.
Ed è proprio da una valigia piena di abiti e scarpe che sono partita la mattina del 4 Novembre 2019, dalla mia camera dell’hotel di Kyiv. Ma andiamo con ordine.
Dopo la Finanziera di quel freddo Febbraio, ci siamo messi tutti all’opera per realizzare questo bel progetto! Nikon School ha reclutato viaggiatori che volessero conoscere la realtà di Chernobyl, attraverso un viaggio condotto da me, come conoscitrice della Zona di esclusione. Il nostro viaggio prevedeva due giorni attraverso Pripyat, Chernobyl, la centrale nucleare, i villaggi abbandonati e la storia di quel periodo di fine ‘900, caratterizzato dal nucleare e dalla Guerra Fredda. Il terzo giorno prevedeva la visita al villaggio di Kuchynivka, che dista circa 200km a nord-est di Kyiv, nella regione di Chernihiv. Al villaggio ci attendeva Fabrizio, presidente dell’associazione Arca Solidale, mente del progetto, nonchè vero anello di congiunzione tra tutti noi. In occasione della nostra visita, era prevista l’inaugurazione della mensa della scuola.
Non mi soffermerò sull’esperienza dei due giorni nella zona di esclusione di Chernobyl, perchè di questo non faccio altro che parlarvene, dal 2015, attraverso questo mio blog “Diario di un viaggio a Chernobyl”, sia sul sito che attraverso tutti i canali social, perchè voglio raccontarvi di Kuchynivka.
Va premesso che il “dopo-Chernobyl” non è una questione che riguarda solo la salute del pianeta e delle persone che vivono nelle terre contaminate dal fallout nucleare, bensì è anche un evento che ha intaccato in modo indelebile la struttura sociale di chi vive in queste terre. L’incidente nucleare, prima, e la dissoluzione dell’Unione Sovietica, dopo, hanno portato la maggioranza della popolazione rurale ucraina e bielorussa a cadere in uno stato di totale sfiducia nel futuro, in una condizione di precarietà lavorativa e condizioni di povertà estreme. Molte famiglie non sono riuscite ad affrontare questi dissesti e sono moltissime le persone che hanno trovato conforto nell’alcool, auto-prodotto nei villaggi contadini e da sempre un bene troppo economico e facilmente accessibile a tutti. Dall’alcool alla violenza domestica il passo è breve e sono tantissimi i bambini che crescono in queste condizioni famigliari, spesso poco seguiti dai genitori, sia per quanto riguarda le condizioni di salute, che per lo studio e, in generale, nell’educazione che un adulto dovrebbe trasmettere a un bambino. Ciò che molti faticano a credere è proprio questo, ovvero che a poche migliaia di km da noi, sui confini di una moderna e progredita Europa, esistano situazioni di questo genere che ricordano la nostra Italia dell’immediato dopo-guerra. E’ lì che dovete immaginare di essere mentre leggerete il mio racconto.
Kuchinyvka ci ha accolti con un cielo grigio, tipico dell’autunno ucraino, che avvolgeva la grande chiesa posta al centro del villaggio, creando un’atmosfera malinconica. Un villaggio dove non ci sono strade asfaltate, ma solo percorsi sabbiosi su cui i cittadini più fortunati si muovono a bordo di una Lada Zigulì che riporta subito agli anni del Soviet, mentre i meno fortunati viaggiano sull’intramontabile bicicletta e la bibliotecaria sul carretto trainato dal cavallo. Kuchynivka conta circa mille abitanti. Qui ci sono un market, una biblioteca, una segheria, una scuola e un asilo. A fianco alla chiesa c’è il municipio, dove ci attendeva il sindaco e il suo staff, compresa una giornalista locale. In una modesta, ma davvero accogliente, saletta del comune, la sindaca ha rivolto i suoi ringraziamenti ufficiali ad Arca Solidale e a tutti gli italiani che da anni permettono all’associazione di intervenire nella vita della comunità con opere migliorative, altrimenti impossibili da sostenere dalla dirigenza del povero comune. Era stato preparato anche un piccolo rinfresco a base di the e biscotti per noi visitatori. Porto ancora nel cuore il calore di quella frugale, sincera e affettuosa accoglienza e rimango dell’idea che noi ricchi occidentali abbiamo tanto da imparare da queste persone che non hanno mai perso la loro generosità, nonostante gli eventi storici li abbiano davvero messi in ginocchio, come comunità.
Dopo i convenevoli in Municipio, ci siamo recati in visita alla scuola. I ragazzini stavano facendo lezione e noi ci siamo intrufolati nelle loro piccole aule con i nostri sonori e italianissimi “buongiorno ragazzi”. D’altronde, quasi tutti i ragazzini di questo villaggio, come tanti altri dei villaggi della Bielorussia che vengono in Italia per il periodo di risanamento, parlano e comprendono l’italiano. Questa è una preziosissima opportunità che deriva dalle vacanze terapeutiche. Non solo ne giova la salute, ma anche la non trascurabile apertura mentale verso culture diverse e nuove lingue, che questi bambini non avrebbero modo di conoscere, vivendo in piccoli villaggi, senza televisione, nè connessione internet. Anche in questo caso siamo stati accolti con spettacoli e balletti meravigliosi! Le ragazzine della scuola hanno messo in scena stupende scenografie, coordinate dalla stilista locale Evgenia Gordyuk. Vi posso garantire che sembrava di essere alla settimana della moda di Parigi, anzichè in un villaggio sperduto nel nord dell’Ucraina. (qui il video di uno degli show: https://www.youtube.com/watch?v=Xmlm6LfowPo)
Per non parlare del pranzo che ci è stato servito proprio nella mensa. In Italia diremmo, in modo dialettale: “sembrava un nozze”. Non saprei in che altro modo definire la distesa di cibo che avevo davanti! Tutto tradizionale, cucinato dalle cuoche della scuola e tutto con materie prime semplici, ciò che produce la terra, nulla di industriale. Sono rimasta impressionata da tanta dedizione e accuratezza nel preparare un banchetto per quelli che per loro erano ospiti speciali, ovvero noi. Certo perchè non capita tutti i giorni di avere ospiti a Kuchynivka. E’ un paese troppo lontano da tutto e tutti e senza alcuna attrazione. Perciò quel giorno è stato un giorno di festa per tutto il paese. Persino la sindaca ha vestito gli abiti della cameriera servendoci come in un ristorante stellato. E dichiaro ufficialmente che in quella scuola ho mangiato il Borsch più buono della mia vita, tanto che mi sale ancora l’acquolina in bocca se ci penso.
Di quella giornata ho ricordi meravigliosi e ciò che più di tutto mi scalda il cuore si racchiude in due parole: accoglienza e semplicità. Mi sono sentita davvero a mio agio e molto coccolata in tutta la semplicità che ci è stata offerta con tanto trasporto e calore. Noi occidentali siamo troppo abituati allo sfarzo e alle cose materiali. Più ostenti e più la società ti riserverà un gradino alto nella scala sociale. Qui, invece, non c’è nulla da ostentare tanto che, anche le cariche pubbliche come il sindaco, hanno lavorato per farci sentire speciali. Poi certo, anche in questo villaggio sperduto ho notato lo stridere di una villa rosa in stile Hollywood con il resto delle case di legno dal tetto in amianto, con il bagno esterno e il maiale che scorrazza tra oche e gatti nel giardino. Quella era la casa del proprietario del market, seguito a ruota dal Pope, arrivato alla chiesa a bordo di un SUV di ultimissima generazione. Come dire, tutto il mondo è paese.
Io, dal canto mio, mi sono presentata con una valigia piena di abiti e scarpe per i bambini, che oggi, con il senno di poi, mi rendo conto essere davvero poco rispetto a ciò che quel villaggio mi ha donato in termini di esperienza di vita. Ho lasciato una valigia piena di cose e sono ripartita con un bagaglio di consapevolezza che non ha prezzo.
Ogni volta che entro in contatto con le realtà rurali dei paesi colpiti dal fallout nucleare di Chernobyl, mi rendo conto di quanto sono stata fortunata, sia nella mia infanzia, sia ora, in età adulta, a vivere “dalla parte giusta del mondo”. Mi rendo conto di quanto sono fortunata anche ad avere possibilità di scelta, per il mio presente e per il mio futuro e, soprattutto, per il futuro di mio figlio. E’ una fortuna che posso esercitare anche nel decidere di aiutare il prossimo. E questo dare al prossimo, mi torna indietro in un modo che mi arricchisce come persona, come niente altro riesce a fare. Arca Solidale è solo una delle tante associazioni, presenti sul territorio italiano, che si occupa del “dopo-Chernobyl”. L’Italia dimostrò da subito il suo interesse a questo avvenimento storico, non solo attraverso immediate opere di aiuto in loco, bensì anche nei decenni a venire, sviluppando una rete di solidarietà unica nel suo genere. Nel suo essere un territorio geograficamente piccolo, in questi trentatre anni l’Italia ha dato accoglienza alla metà dei “bambini di Chernobyl” accolti a livello mondiale! Sono piccoli primati di cui dobbiamo andare fieri e continuare a lavorare per non dimenticarci del futuro di questi bambini. Perchè ogni singolo bambino del mondo è anche un pò figlio nostro e noi adulti abbiamo il dovere di offrirgli un futuro dignitoso in questo mondo, che ormai va a rotoli.
Quella sera di Febbraio ci salutammo, tutti entusiasti del progetto che avevamo ideato, ma abbastanza dubbiosi rispetto agli sviluppi futuri. Oggi posso dire “well done, ragazzi!” Ognuno di noi ha messo in campo le proprie competenze e conoscenze e il risultato è stata un’esperienza unica che nessuno dimenticherà, noi organizzatori in primis.