25/09/2022
Una data molto significativa per me. Anzitutto un mio personale anniversario: sette anni dal mio primo viaggio in Ucraina. Anniversario fondamentale per me, di cui vi parlerò in questo articolo. Inoltre per noi italiani oggi è una giornata angosciante: si votano le politiche. Dalle chiacchiere fatte con amici e colleghi di lavoro, in questi mesi, l’umore è pressochè lo stesso per tutti: angoscia. Nessuno sa chi e cosa votare. E questo vale sia per la destra che per la sinistra. Persone che votano da una vita, che da anni si sono identificate in una parte politica (che sia destra o sinistra) oggi sono nella più totale confusione. Siamo arrivati davvero alla frutta, come si suol dire. Una destra terribile e una sinistra incommentabile. Scrivo questo articolo appena uscita dalle urne. Ho sentito fortissimo il peso di questo voto. Ci ho riflettuto per giorni. E alla fine ho perso: per la prima volta in vita mia ho annullato consapevolmente la mia scheda elettorale. Non mi sento rappresentata da nessuno e non voglio essere complice di nessuno di questi balordi. Purtroppo non sono stata in grado di individuare nessuno per cui valesse la pena mettere quella “x”. Mentre scrivo sono in corso le votazioni. Quando questo articolo verrà pubblicato, saremo già al corrente dei risultati. Ma io devo scrivere oggi, sia perchè voglio rimanere in questo limbo di dubbio, sperando che gli italiani siano più bravi di me nell’individuare “il meno peggio”, sia perchè oggi per me è un importante anniversario.
Era il 25/09/2015 quando atterrai per la prima volta sul suolo ucraino. Io non potevo saperlo, ma da quell’atterraggio la mia vita sarebbe totalmente cambiata. Io stessa sarei cambiata. Quel timbro dell’aeroporto Boryspil sul mio passaporto, non è un timbro di entrata in Ucraina, ma di uscita dalla mia vita di prima.
Quel primo viaggio in Ucraina fu il frutto di un “piano” ben studiato con una finalità ben precisa. Ero agli albori come fotografa. Stavo studiando fotografia da alcuni anni e volevo crearmi un portfolio interessante. Volevo diventare una fotografa di matrimoni, per sbarcare il lunario, e una fotografa di reportage per passione. Per caso, soprii che si poteva viaggiare a Chornobyl. In quell’epoca Chornobyl non era affatto main stream come oggi, perciò mi dissi: “Francesca vai, è la tua occasione! Ti crei un portfolio particolare e magari qualche quotidiano si interessa ai tuoi scritti di reportage, qualcosa di buono ne uscirà”. Non mi sbagliai. Ci furono agenzie che comprarono le mie foto sulla fiducia, pagandole prima della mia partenza. E quotidiani che mi diedero spazio per un diario giornaliero, scritto direttamente da Chornobyl. Era fatta! Il mio piano stava funzionando. Io ricordo ogni secondo di quella mattina di Settembre, quando partii con il mio compagno, mio socio in questo viaggio strambo. Ero emozionatissima. Stavo andando a Chornobyl. Chissenefrega dell’Ucraina! Io vado a Chornobyl.
Non mi vergogno ad ammettere che partii con una valigia stracolma di pregiudizi e ignoranza. Non mi vergogno ad ammetterlo perchè oggi so che quell’ignoranza non era tutta colpa mia, ma era figlia di una precisa educazione che si riceve in Italia, dove stampa e politica bombardano il cittadino di false notizie su questa nazione. Ah, l’Italia, una colonia americana, piena di basi NATO, eppure così amica della Russia. Legata da interessi e malaffare con questa nazione e pertanto orientata a raccontare una verità piuttosto distorta, per di raccogliere consensi. Sta di fatto che per me l’Ucraina non era altro che una minoranza etnica della Russia, con una rivoluzione civile in corso, dove un popolo troppo nazionalista cercava di ribellarsi alla Grande Madre Patria. Basta. Non sapevo altro. Ah no, sapevo anche che l’Ucraina era un posto di miserabili e corrotti, che sfornava badanti per l’Italia. Quanto potevo essere ignorante? Eppure, abbiamo visto quanti italiani ignoranti abbiamo a disposizione, da quando la “rivoluzione civile interna” è diventata una “operazione speciale di denazificazione”. Beh, a mia discolpa posso dire che sin dalle prime ore trascorse a Kyiv, capii che c’era qualcosa che non andava nella mia narrativa. Ciò che vedevo cozzava totalmente con ciò che sapevo. Idem dicasi per la zona di esclusione di Chornobyl. Ciò che sapevo nulla c’entrava con ciò che vidi e vissi nella Zona.
In quel primo viaggio, trascorsi otto giorni tra Kyiv e Chornobyl. Tornai a casa con un grande disagio interiore e il pianto facile. Stessa cosa fu per il mio compagno, ad eccezione del fatto che lui non piangeva. C’era qualcosa che era scattato in noi, qualcosa di ancora incomprensibile. Al mio rientro, parlando con la gente, notavo che faticava a seguire i miei racconti. C’era qualcosa che stonava per loro. Ciò che sapevano dell’Ucraina non si rispecchiava nei miei racconti. Nel frattempo, Emanuele ed io, sentivamo la necessità di tornare. La sentivamo forte come si sente la necessità di respirare, dopo infiniti minuti di apnea. L’occasione si presentò alcuni mesi dopo, con il trentesimo anniversario dal disastro di Chornobyl. Replicai lo stesso “piano”: vendere il reportage e scrivere sui quotidiani. Funzionò ancora. Pensai che potevo ritenerlo una sorta di completamento del mio lavoro e fine dei viaggi a Chornobyl. Non fu così. Sentii la necessità di tornare, in pieno inverno, per vivere al freddo e sotto metri di neve, come le persone del posto. Replicai il “piano”, funzionò. Nel frattempo iniziai a prendere fiducia, creando il mio progetto “Diario di un viaggio a Chernobyl” (con la “e”, perchè all’epoca ancora non capivo quanto fosse importante scriverlo con la “o”. Qui trovate il link con la spiegazione sulla differenza:https://www.francescagorzanelli.it/chernobyl/chernobyl-nome-disastro/). Quel viaggio a Chornobyl non è mai più finito. Si è trasformato in un viaggio, senza fine, in Ucraina. Nel tempo iniziai a capire che avevo lo strumento giusto (internet) e le conoscenze giuste, maturate durante i miei svariati viaggi, tante letture e tanto tempo trascorso con gli ucraini, per spiegare agli italiani cosa non sapevano dell’Ucraina e perchè non lo sapevano. Più parlavo di guerra in Donbass e presa illegittima della Crimea, e più perdevo followers. Per molti italiani ero una ciarlatana, perchè nel Donbass non c’era nessuna guerra, ma solo una sommossa popolare che la Russia aveva pieno diritto di sedare. La mia era una lotta contro i mulini a vento, ma io sapevo di avere ragione. Io trascorrevo settimane e settimane in Ucraina e vedevo perfettamente come la narrativa italiana fosse assolutamente sbagliata. Sentivo parlare la lingua russa, senza problemi. Sentivo parlare della Russia, con una punta di risentimento, ma non con odio. Quello è arrivato dopo. Quello è stato alimentato dalla Russia fino a diventare legge. Sì perchè per anni io ho viaggiato nell’Ucraina di Poroshenko, invasa dalla Russia, ma senza vedere nessun segno di repressione da parte dell’Ucraina. Nessuna discriminazione. Poi, a forza di “dai e dai” arrivarono le leggi. Perchè ok cornuto, ma non mazziato, come si suol dire. Quindi Poroshenko promulgò le leggi che imponevano l’utilizzo della lingua ucraina negli uffici pubblici e nelle scuole. Ma sapete cosa succedeva? Che la gente parlava ugualmente le due lingue, senza ammazzarsi, come invece piace raccontare in Italia. Conosco tantissimi ucraini che hanno parlato russo, sino al 24 Febbraio 2022. Ucraini che quasi non sapevano l’ucraino perchè, per comodità, utilizzavano il russo. Ucraini che non sentivano la necessità di perseguitare nessuno, tanto da usarne la lingua, a discapito di quella nazionale, ma in assoluta libertà di scelta. Ucraini che hanno smesso di parlare russo da quando la Russia ha lanciato il primo razzo su Kyiv. Perchè ok cornuto, ma non mazziato! Giusto?
Da quel 25 Settembre 2015 ho viaggiato in Ucraina decine di volte. Ho vissuto le votazioni del 2019, con tanto di ballottaggio, dove poi vinse Zelensky. Ho vissuto le prime perplessità di qualcuno verso Zelensky, che sembrava essere troppo aperto verso la Russia, nel suo cercare di risolvere la questione dell’invasione. Ho condiviso le nottate con ucraini ad ascoltare le loro previsioni su come sarebbe progredito il conflitto nel Donbass. Ho ascoltato, ho detto la mia, ho mangiato cibo ucraino, brindato a vodka e samogon, ho imparato a conoscere gli odori di questa terra, i cieli bui e minacciosi, così come i cieli blu di un blu che non avevo mai visto altrove. Ho vissuto le prime notti, senza riscaldamento, perchè Putin faceva i dispetti e chiudeva il gas. Ho dormito al freddo, sperando che venisse presto giorno per uscire, perchè all’interno sembrava più freddo che all’esterno, ma non me ne sono lamentata. Ho fatto docce gelate, quando fuori faceva -27°C, borbottando parolacce tra me e me, ma non me sono mai lamentata, perchè in quella terra nessuno soccombe al ricatto. E io non soccombo, insieme a loro. Ho studiato la loro storia, ho fatto domande, ho imparato a rispondere in ucraino anzichè in russo, per rispetto verso la loro lingua, ho imparato le loro tradizioni, come entrare nelle loro case, in caso di festa, così come in caso di lutto. Mi sono sentita una di loro. Anzi no, credo di essere diventata una di loro. Mi hanno messa a mio agio, mi hanno fatta sentire a casa, mi hanno fatta sentire al sicuro. Ho viaggiato da sola di notte, in città in cui a fatica parlavano inglese, eppure nessuno mi ha mai torto un capello. Ho perso una borsetta stracolma di contanti in aeroporto, inclusi i documenti di identità. Mi sentivo persa, se non addirittura rovinata perchè quegli euro contanti dovevano diventare grivna per pagare chi lavorava per me. Sono scesa di corsa da un Uber, lasciandogli le mie valigie, urlando in inglese a un ucraino che non capiva l’inglese: “devo tornare in aeroporto, ho perso i documenti”. In aeroporto nessuno mi capiva, nemmeno la polizia. Sembravo una pazza da internare. Il signore che aveva trovato la mia borsetta mi stava cercando da mezz’ora, mi ha riconosciuta dai documenti e mi ha restituito tutto. Non mancava un centesimo di euro. Recuperata la borsa, immaginavo di essere rimasta senza valigie, perchè l’autista di Uber se ne era di certo andato. Non si era detto che gli ucraini sono tutti miserabili e corrotti? Invece lui era lì fuori, che fumava una sigaretta mentre mi aspettava. Un giovanissimo, forse ventenne, che si era preso il tempo di aspettare una signora straniera, isterica, che era corsa in aeroporto a fare chissà che.
L’Ucraina mi ha cambiata. Mi ha resa più umile e più combattiva. Mi ha fatto capire quanto vale la mia libertà, che io ho sempre dato per scontata. Mi ha fatto capire quanto è importante lottare per la libertà di essere un popolo con la propria identità, la propria storia, la propria lingua. Quanto è importante combattere il prepotente, anche se il prepotente ti entra in casa con i carri armati e il mondo intero ti dice che devi arrenderti, perchè le bombe del prepotente uccideranno la tua gente e se non ti arrendi, diventerai colpevole di quella morte. No, non si abbassa il capo di fronte al prepotente. No, si deve reagire. Io sono stata fortunata perchè sono nata in un Paese dove tutta questa sofferenza e questa lotta, se la sono sobbarcata i nostri nonni, per garantirci una vita libera. Ho sentito questa voglia di libertà in ogni parola di ogni giovane che ho conosciuto. E forse è proprio questa determinazione che mi ha cambiata, più di tutto. Vedere ragazzi che potrebbero essere miei figli, lottare per qualcosa che mio figlio ha, come diritto intoccabile, sin dalla nascita. Io sono grata all’Ucraina, non per retorica, ma per vita vera, vissuta. Mi manca come non mi è mai mancato nessun luogo nel mondo, a questo modo. Per tenermi lontana dall’Ucraina c’è voluta una pandemia globale, prima, e una guerra ora. Soffro in un modo che forse molti reputano esagerato e probabilmente ingiustificato. Soffro ogni giorno, ad ogni bomba, ogni volta che sento un italiano dire “eh ma gli ucraini dovrebbero cercare la pace dando a Putin ciò che è suo”. No, nulla è di Putin. Nulla è della Russia. Tutto è dell’Ucraina, dai tempi della storia antica, o magari anche dai tempi della storia moderna, con il Memorandum di Budapest. La Crimea è per gli ucraini quello che la Romagna è per gli Emiliani: tutti hanno una seconda casa lì. Provate ad immaginare se all’improvviso vi venisse chiesto un passaporto da romagnolo, per entrare nella vostra seconda casa? Ci sono ucraini che non entrano nelle loro case in Crimea dal 2014. Perchè si dovrebbe mai accettare una condizione simile? (Qui il link al mio articolo “perchè gli ucraini non sono russi”: https://www.francescagorzanelli.it/chernobyl/perche-gli-ucraini-non-sono-russi-storia-dellucraina/)
L’Ucraina mi ha cambiata. Ringrazio il mio “piano” iniziale per avermi portata in Ucraina. Ringrazio me stessa per essere stata sufficientemente curiosa e aperta per capire questo popolo. Mi ringrazio per essermi data l’opportunità di non rimanere ignorante. Mi ringrazio per avere avuto la perseveranza di portare avanti il mio progetto “Diario di un viaggio a Chernobyl” continuando a spiegare agli italiani chi sono gli ucraini. Non so se il mio lavoro sta funzionando, ma di certo io questo lo dovevo al popolo ucraino. Glielo devo ancora. Gli devo la Verità. E non smetterò mai di raccontare ciò che io ho visto e vissuto in prima persona, che è assolutamente inconfutabile, indiscutibile, incontrovertibile. Mi ringrazio per avere portato centinaia di italiani in viaggio con me, a vedere con i propri occhi che ciò che racconto è assoluta verità. La Russia mi ha portato via la terra che adoro, dove io mi sentivo bene, realizzata, dove davo lavoro a persone e dove riuscivo a realizzarmi come persona. Da quando la Russia ha sganciato la prima bomba su Kyiv, ho riposto la mia macchina fotografica in un cassetto, ci ho chiuso dentro tutti i miei futuri progetti e mi sono buttata a capofitto su un nuovo lavoro. Oggi ho il “posto fisso” in Italia, un passaporto scaduto (non mi era mai successo) e zero voglia di fare progetti per il futuro. Il mio futuro era l’Ucraina. Ma qualcuno ha mosso pedine sulla scacchiera degli interessi mondiali, che mi hanno tagliata fuori dai miei stessi sogni. Non posso fare progetti perchè la politica italiana, in questo momento, è per me come una bomba ad orologeria. Non mi rimane che attendere e vedere i danni enormi che farà questa bomba quando esploderà.
Non so che sarà di questa Italia da domani. Da italiana provo immensa vergogna per come gli italiani si stanno comportando nei confronti dell’Ucraina. Da italiana provo vergogna per la classe politica che ci rappresenta. Da italiana innamorata dell’Ucraina temo di ritrovare il mio Paese su una black list ucraina e, nel caso, non li biasimerei. Non so che sarà da domani. Non so che sarà di questa guerra. Ma so per certo che io non ne sono stata complice.
Se è vero che esiste il mal d’Africa, io vi garantisco che sono affetta da un incurabile mal di Ucraina.