Mesi di programmazione, con la certezza che non avrei avuto certezze! Gennaio nella Zona è quanto di più climaticamente difficile si possa affrontare laggiù.

Il programma era chiaro e semplice: “6 Gennaio, vigilia del Natale ortodosso, saremo da Maria. Portate qualche regalino, se desiderate, almeno avrà un pacchetto anche lei da scartare! Cibo e medicinali li compreremo a Kiev.”

Tutti i partecipanti al viaggio erano ben entusiasti di questo programma prima della partenza.

Certo, una volta arrivati nella Zona abbiamo dovuto renderci conto di quanta fosse realmente la neve e di quanto ostacolasse ogni nostro movimento quotidiano, sia a piedi che con il van. La città fantasma non era visitabile con il furgone e abbiamo quindi camminato quasi sette ore per le vie di Pripyat. E’ stata la prima volta, in dieci viaggi, che ho avuto l’opportunità di vivere la città così intensamente e di questo ringrazio proprio la neve che con il suo manto candido trattiene gran parte delle radiazioni al suolo ed ostacola il movimento delle auto!

Perciò, come da programma, l’ultimo giorno di permanenza nella Zona era proprio la vigilia di Natale. Dopo aver visitato la chiesa di San Elia a Chernobyl e dopo aver acquistato tutto il necessario per Maria, ci siamo messi in viaggio. Sulla via del ritorno, ovvero dirigendosi verso il check point Dytyatky, si trova una svolta sulla destra. Le prime volte mi domandavo come facessero i conducenti del van a distinguere quella svolta, ma oggi, dopo dieci visite a Maria in tre anni, quella svolta la riconosco anche io. Ed anzi, questa volta avevo la grandissima responsabilità di indicare la strada al conducente, perchè sia lui che la guida ucraina non erano mai stati dalla mia amata Baba. Non so esattamente quanti km dividano quella svolta da casa di Maria. In condizioni climatiche normali occorrono trenta minuti per raggiungerla, ma con tutta quella neve, non battuta perchè nessuno aveva percorso quella strada da giorni, la faccenda si faceva davvero preoccupante. Si viaggiava a meno di 40 km/h. Dopo circa una mezz’ora di viaggio, alcuni dei viaggiatori si domandavano se era il caso di proseguire, perchè di questi tempi il sole tramonta alle 16 e con il buio non è gradevole trovarsi nel mezzo della foresta, su una strada ad una corsia perchè totalmente invasa dalla natura e con la neve ad altezza ginocchio.

Ammetto che l’ansia si stava impadronendo di me. Le perplessità dei viaggiatori stavano diventando anche le mie. Già mi domandavo come il conducente avrebbe potuto girare il furgoncino per riprendere la via del ritorno. Peraltro, a rincarare la dose, c’era la certezza che i telefoni non hanno più linea, dopo quel bivio. Mi sentivo addosso una grande responsabilità e, anche se spero di essere riuscita a non darlo a vedere, iniziavo a preoccuparmi per tutto il gruppo. Condurre persone in queste terre è una grandissima responsabilità, che in condizioni normali sono sempre riuscita a gestire senza problemi, ma cavolo, questa volta non c’era nulla di normale nel trovarsi nel mezzo di una foresta ucraina, durante un freddo Gennaio!!!

Finalmente, dopo quasi un’ora di viaggio, il villaggio abbandonato di Kupovate si stagliava all’orizzonte. Qualche casa di legno e tanta desolazione. Un orizzonte totalmente bianco. Alla domanda della guida: “Francesca, qual è la casa di Maria?” io risposi “Credo sia meglio che lasciamo qui il mezzo e procediamo a piedi. Non c’è posto per permettergli di fare inversione più avanti, poi la strada procede in discesa e non credo sia saggio che il van si avventuri laggiù”. Fortunatamente tutto il gruppo ha riposto in me una grande fiducia e, scesi dal furgone, con la neve al ginocchio e fiocchi ghiacciati che scendevano dal cielo, pizzicandoci il volto, ci siamo incamminati. Non finirò mai di ringraziare i miei compagni di viaggio per essersi fidati ciecamente di me ed avermi seguito fino da Maria. So che per loro, alla fine, si è rivelata una grandissima esperienza, emotivamente toccante!

E, come mai era successo prima (perchè di solito sono le guide ucraine a farsi avanti con i Samosely per ovvi motivi di lingua) questa volta Maria ha aperto la porta al “toc toc” trovando me, bianca e ghiacciata come un pupazzo di neve! E’ stato il momento più forte di quella giornata! Il suo sorriso che si apre nel momento in cui mi riconosce sotto strati di copricapi, è un’immagine che non dimenticherò mai!

Maria ha messo subito al lavoro noi donnine per aiutarla ad imbandire la tavola, mentre gli altri viaggiatori sono stati spediti a spalare la neve per liberare il furgoncino e permettergli di fare inversione. Aveva cucinato per noi un’ottima zuppa di patate e cipolle, il tipico orzo e un (terrificante, non me ne voglia la cara nonna) pollo in gelatina che conservava in un comodino.

Il resto della giornata è qualcosa di difficile da raccontare, momenti che ognuno di noi porterà con sè per sempre.

Maria ci ha detto di non aver mai ricevuto tanti regali per Natale, tra un abbraccio, un bacio, una risata e anche qualche momento di commozione. L’obiettivo era quello: donarle una vigilia di Natale “normale” in un luogo che di normale non ha più nulla, ormai da oltre trent’anni e, soprattutto, da quando lo scorso ottobre ha perso il suo amato Ivan.

Non mi stancherò mai di ringraziare i miei compagni di viaggio per il tempo donato a Maria e per la fiducia che hanno riposto in me. Dal canto mio, anche io mi ringrazio per essere stata in grado di portare a termine questa missione, questa volta per nulla facile.