Era il 22 Febbraio 2020, quando le regioni Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto, mettevano in atto le prime restrizioni per il contrasto all’emergenza Covid-19. Scuole chiuse, luoghi di aggregazione chiusi, quali ristoranti, palestre e simili e smart working per chi ne aveva le possibilità. Quel giorno mio figlio non sapeva ancora che quella delle 13:00 sarebbe stata l’ultima campanella del suo anno scolastico.
Da quel giorno è stato un susseguirsi di eventi che ancora oggi mi lasciano senza parole, come se stessi guardando un film di fantascienza e non la nostra vita che scorre in un incubo, nella nostra moderna Italia.
Abbiamo assistito all’assalto ai supermercati, poi l’assalto alle spiagge, poi via via che si faceva strada il sospetto che l’Italia sarebbe diventata un’unica immensa Zona Rossa, abbiamo assistito alla fuga dei trasfertisti, dal Nord al Sud. Poi un incedere senza tregua di odio “tutti contro tutti”. Chi va a farsi la corsetta accusato di essere un untore da chi va a fare la spesa tre volte al giorno, per guadagnarsi una mezz’ora d’aria. Chi non riesce a stare a casa e chi invece vorrebbe starci, perchè magari costretto ad uscire per lavoro. Chi sforna pane e chi canta al balcone. Ne abbiamo viste di tutti i colori e forse il peggio deve ancora venire, parlando in termini di tessuto sociale. Mentre scrivo (23 Marzo 2020) ci troviamo ancora in piena emergenza e ciò che più ci pare inaffrontabile sono le ore di questi giorni, tutti uguali. Io, personalmente, ho sempre avuto una vita poco sociale e poco materiale, quindi questa quarantena non mi sta togliendo nulla rispetto a prima e, anzi, mi sta restituendo molto più tempo per godermi la mia famiglia. Tuttavia per molti questa “reclusione” sta diventando un dramma. La convivenza forzata a molti pesa. Qualcuno fatica proprio a stare solo con se stesso. Qualcun’altro non riesce a rinunciare alle abitudini che aveva prima. Molti psicologi invitano la popolazione a cercare il lato positivo di questa quarantena (perchè c’è, eccome se c’è, va solo cercato!), per crearne un’occasione per apportare un cambiamento alle proprie abitudini. Io me ne sto chiusa in casa a guardare ciò che sta accadendo e sinceramente ci vedo molto (moltissimo) di ciò che per anni ho vissuto attraverso i racconti delle persone che c’erano al tempo del disastro di Chernobyl. Vedo la gente spaesata, spaventata, più da se stessa, che non dal virus. Questo mi fa temere che quando potremo tornare alla normalità, per molti qualcosa si sarà “rotto” in modo definitivo, sia a livello personale che interpersonale e ci vorrà davvero tanto tempo per ritrovare la fiducia, nel futuro e nel prossimo, che avevamo prima. Qualcuno ha coniato una sigla per gli eventi di Chernobyl che suona così: AC/DC ovvero Avanti Chernobyl/Dopo Chernobyl. Ora credo che in Italia stiamo vivendo lo stesso spartiacque: Avanti Covid-19/Dopo Covid-19.
Niente sarà più come prima, lo sappiamo tutti. Ora dovremo solo cercare di fare in modo di costruire qualcosa di migliore rispetto al “prima”. Non torneremo alla normalità, perchè la normalità era il vero problema. Lo era per tutti, perchè tutti eravamo presi da una routine che, una volta forzati ad abbandonare, abbiamo capito non essere poi così necessaria. Abbiamo capito che si può rallentare, anzi, che è fondamentale rallentare. Abbiamo capito che le domeniche sono anche più belle senza centro commerciale. Abbiamo scoperto che avere il tempo per annoiarsi non è male. Abbiamo imparato a fare il pane, la pizza e abbiamo imparato a rinunciare ai vizi. Qualcuno avrà smesso di fumare e (sono una sognatrice, lo so, ma ci spero davvero) qualcuno sarà anche riuscito a liberarsi di quell’Inferno chiamato tossicodipendenza. Nel mio piccolo mondo antico vedo spacciatori disoccupati, grazie alla quarantena, come vedo malviventi di ogni genere costretti a trovarsi un nuovo “impiego” in quanto in giro non ci sono più nonnine da scippare o appartamenti vuoti nei quali infilarsi.
Non so quando questa emergenza finirà poichè stiamo scrivendo la storia giorno per giorno, pagina per pagina, e nessuno può prevedere nulla. Magari tra qualche mese tornerò a rileggere questo articolo e potrò stabilire se saremo stati capaci di risorgere migliori di “prima”, meno materiali, meno consumisti, meno egoisti.
In tutto questo scorrere quotidiano di eventi, in tutto questo nostro pensare a come riempirci le giornate, a come saremo dopo, a come eravamo prima e bla bla bla, il virus ha mietuto vite, e ancora ne miete, troppo velocemente. Ad oggi siamo a 5476 vite spezzate. (ndr: 102mila un anno dopo) Siamo la nazione con più morti nel mondo. C’è chi ha risposte politiche a questi numeri, chi complottistiche, chi pensa sia un avvertimento Divino. Io non cerco risposte, vorrei solo arrivare alla soluzione di questa disgrazia. Vedere sfilare le camionette dell’esercito a Bergamo per trasportare le salme fuori regione per la cremazione, in quanto in Lombardia anche i crematori sono al collasso, l’ho trovato talmente terribile che non mi importa proprio nulla di avere risposte al perchè ci troviamo in questa situazione. Voglio solo uscirne in frettissima. Non andrà tutto bene, in quanto è già andato tutto male. Le persone che muoiono da sole, lontane dai famigliari, chiuse in sacchi di plastica riempiti di alcool con su scritto “Covid-19” è sufficientemente straziante per pretendere un rispettoso silenzio nazionale. E anche in questo trovo parallelismi con il disastro di Chernobyl, quando pompieri e operatori della centrale nucleare, in turno la notte del 26 Aprile 1986, morivano da soli, chiusi dietro a pareti di plastica, lontani dai propri affetti, per poi essere tumulati in bare di piombo.
E insieme alle vittime di questa tragedia, un pensiero va dedicato anche a tutti gli operatori sanitari, i volontari della Croce Rossa, le forze dell’ordine, l’Esercito Italiano e tutti quei lavoratori che in questi giorni mettono a repentaglio la propria salute per mandare avanti il Paese.
Di loro ho scritto nel mio blog “Diario di un viaggio a Chernobyl”, su Facebook. Anche in questo caso ho trovato parallelismi con il disastro di Chernobyl. Lo scorso 12 Marzo scrivevo:
*Diario di un’Italia in quarantena*
Day 18
Day 4 dalla Zona Rossa
Nel 1986, dopo lo scoppio della centrale nucleare di Chernobyl, un esercito di “liquidatori” fu mandato a ripulire il tetto del reattore 4 e a ripulire tutta la città di Pripyat. Furono mandati a combattere un nemico invisibile, inodore, incolore, mortale. Non avevano le giuste protezioni. Il governo non gliele aveva fornite e loro si riparavano come potevano. Combattevano una guerra mai combattuta prima. Negli anni nessuno ha mai reso loro la giusta memoria. Avevano solo fatto il loro dovere. Avevano semplicemente salvato il mondo da un disastro che avrebbe potuto assumere proporzioni molto più grandi e gravi.
Nel 2020, dopo lo scoppio di una pandemia mondiale, in Italia, un esercito di sanitari sta combattendo un nemico invisibile, inodore, incolore, mortale. Non ha le giuste protezioni. Il governo non gliele ha fornite, non in giusta quantità rispetto al numero di liquidatori che stanno combattendo sul campo. Loro si riparano come possono, affrontando turni di lavoro estenuanti. Anche più di 12 ore per turno. Combattono una guerra quotidiana, sprovvisti delle giuste armi. Speriamo che negli anni gli venga data la memoria che meritano. O anche loro stanno solo facendo il loro dovere? Stanno semplicemente salvando l’Europa da un disastro che può assumere proporzioni molto più grandi e gravi.
Non tutti gli eroi indossano il mantello, per molti sarebbe sufficiente una mascherina.