Per molti storiografi l’incidente di Chornobyl rappresenta la prima vera crepa nel sistema sovietico. La fantomatica goccia che ha fatto traboccare il vaso e da lì l’inizio di un percorso che ha portato alla dissoluzione dell’URSS.
Senza dubbio tutto ciò è vero, ma vi siete mai chiesti il perchè della grande ribellione degli ucraini proprio in conseguenza all’incidente alla centrale nucleare? Ovviamente la risposta viene spontanea, dato l’atteggiamento di grande censura messo in atto dai vertici del Partito, che per molti suona di presa in giro nei confronti del popolo. Ma questa è solo la risposta più ovvia e superficiale.
Le vere ragioni del malcontento del popolo ucraino nei confronti del sovranismo russo vanno ricercate molto più indietro nella storia, fino a quasi cento anni prima. Perchè, se ci pensate bene, a partire dagli anni ’70 e dal momento in cui era stato avviato il progetto del polo nucleare più grande del mondo, gli ucraini avevano avuto modo di beneficiare di tanti risvolti positivi che l’impianto elettronucleare portava con sè. Iniziando dalla bonifica di un’area paludosa che non era congeniale per nessun genere di attività produttiva, oltre a quella del grano. Proprio nella zona del Polesie, dove esistevano solo sparuti villaggi di contadini, stava sorgendo una moderna città dotata di tutti i comfort. Per non parlare dei posti di lavoro che la centrale elettronucleare aveva da offrire e di tutte le infrastrutture che stavano sorgendo per servire questa area nel profondo nord dell’Ucraina. Era una sorta di riscatto per il popolo ucraino che in effetti godette di tutti questi benefici, fino a quel 26 Aprile 1986, quando il futuro cambiò in pochi secondi.
Perchè vi parlo di “riscatto”? Come vi ho anticipato, occorre andare indietro di almeno cento anni.
“Seppellitemi, quando morrò, in un alto tumulo, nell’Ucraina amata, in mezzo all’immensa steppa, dove gli sconfinati campi, il Dnipro e le rive sue scoscese si vedano, e ascoltar si posa il ruggente Dnipro ruggire.” Così scriveva nel 1845, Taras Sevchenko, il più importante umanista ucraino, nel suo ‘Zapovit’.
Per secoli il destino dell’Ucraina è stato modellato dalla sua geografia. Se i suoi confini a Sud-Ovest sono segnati dai Carpazi, nulla segna i confini di Nord-Ovest ricoperti di campi e foreste, e nulla a Est, dove la steppa segna gli orizzonti. Niente fiumi a segnare i confini naturali, perchè il più importante fiume attraversa la nazione nella sua lunghezza, il Dnipro, e non si è mai reso utile a fermare gli eserciti di invasori, che per secoli hanno attraversato questa terra. “Se almeno da un lato ci fosse stato un confine naturale, di monti o di mare, il popolo che qui era venuto a vivere avrebbe potuto conservare la propria esistenza politica e costituire uno stato a sè stante.” (tratto da “La grande carestia” di Anne Applebaum.)
Ed è proprio così! L’Ucraina è sempre stata una terra di frontiera, una terra di mezzo tra la Russia e l’Europa. Una terra che tutti desiderano sfruttare proprio per la sua posizione geografica. Ancora oggi, nel 2021, risulta essere una terra contesa, fortemente contesa, ed è notizia di questi giorni (Marzo 2021) che anche l’America di Biden sta intervenendo nel conflitto nel Sud del paese (nei territori del Donetsk, del Lugansk e nella risoluzione della questione della Crimea, questione aperta dal 2014 e combattuta pesantemente a suon di carri armati, di mortai e di morti innocenti. Ma questa è un’altra storia, di cui vi parlerò presto.)
Nel tardo Medioevo esisteva una lingua ucraina a se stante, slava, con forti similitudini con la lingua polacca e con quella russa, ma assolutamente diversa. Un pò come può valere per l’italiano, molto simile allo spagnolo, ma assolutamente due lingue distinte. I popoli che parlavano questa lingua avevano anche una loro cultura, una loro cucina, le loro credenze, insomma, usi e costumi propri, differenti dai vicini polacchi e russi. Ma proprio per la sua collocazione geografica, l’Ucraina è stata, per gran parte della sua storia, una colonia di altre nazioni. Il suo nome stesso, “Ucraina”, significa “terra di confine”, sia in polacco che in russo.
Fino al 1054 l’Ucraina faceva parte del Rus di Kyiv, stato medievale sorto nel IX secolo, formato da tribù slave e da una nobiltà vichinga, di origine non meglio precisata. Da secoli la Bielorussia, la Russia e la stessa Ucraina rivendicano questo stato come antenato della loro storia, senza ancora averne stabilito precisamente l’appartenenza. Di seguito, fino a circa il 1580, l’Ucraina fece parte della Confederazione polacco-lituana. Nel 1621 su queste terre si scontrarono polacchi e turchi per il dominio della città di Chotyn. A seguire, le truppe dello zar russo si batterono con quelle dell’imperatore austroungarico in Galizia. Poi arrivò l’URSS e la seconda guerra mondiale, che vide Hitler entrare a Kyiv, L’viv, Odessa e Sabastopoli. Il passaggio di tutti questi popoli e queste etnie ha di certo lasciato il segno, ma non è stato sufficiente a sradicare la lingua ucraina, gli usi ed i costumi e, soprattutto, il senso di identità degli ucraini. Seppure la Russia abbia sempre considerato l’Ucraina una piccola Russia e l’abbia trattata di conseguenza, e seppur la Polonia abbia sempre considerato gli ucraini come un popolo di contadini analfabeti che parlavano un dialetto polacco, l’Ucraina si è sempre considerata una nazione con una sua identità ben precisa. L’eco di questa identità ha sempre scavalcato i confini geografici e culturali dell’intera Europa tanto da raggiungere Voltaire, che nel suo ‘Histoire de Charles XII’ scrisse “l’Ucraina ha sempre aspirato a essere libera.” E mentre i russi disconoscevano la parola “Ucraina” e, anzi, sostenevano fosse un modo offensivo di chiamare il Sud-Ovest della Russia, e i polacchi, a loro volta, avanzavano pretese sull’utilizzo di questo rozzo dialetto polacco, l’Ucraina sfornava grandi menti, poetiche e politiche, che avevano una grande influenza sul popolo e questo aiutava a mantenere viva l’identità. E non meno importanza aveva quella grande fetta di contadini, che venivano snobbati da russi e polacchi, che li ritenevano volgari analfabeti, ma che invece continuavano a tenere in uso la lingua ucraina, mentre coltivavano quei campi che producevano grano per tutta l’Europa. Non per nulla l’Ucraina è sempre stata ritenuta il granaio d’Europa. La stessa bandiera nazionale, giallo-blu, rappresenta il blu del cielo e il giallo del grano.
E proprio questa forte produttività agricola ha sempre attratto le due nazioni confinanti, con pretese di annientare la cultura dei locali, partendo proprio dall’eliminazione di quella lingua che per secoli sopravvisse ad ogni invasione. Con l’istituzione dell’Unione Sovietica la lingua ucraina venne bandita. Venne imposto l’utilizzo della lingua russa, anche nelle scuole. Questo fu l’inizio del vero e proprio astio tra le due nazioni. Per lavorare nelle amministrazioni locali, negli affari in generale o in qualsiasi professione a contatto con il pubblico, bisognava parlare russo. Ciò significava annientare gli ucraini, sia politicamente, che economicamente e, soprattutto, intellettualmente. Già nel 1876 lo zar Alessandro II si era prodigato in questa “guerra” mettendo fuori legge libri e qualsiasi pubblicazione fosse fatta in lingua ucraina. Con l’avvento dell’Unione Sovietica si assistette a un processo di russificazione attraverso il trasferimento di molti lavoratori russi nelle fabbriche ucraine. Nel 1917 solo un quinto degli abitanti di Kyiv parlava ucraino. Con la scoperta del carbone questo processo divenne ancora più rapido, data la necessità di nuova forza lavoro. Tanti furono i cittadini russi che vennero trasferiti nel Donbass, nel Donetsk e nel Lugansk. Gli scontri violenti, nelle fabbriche, tra ucraini e russi, erano all’ordine del giorno. Ed è proprio in questo periodo storico che risiedono le radici di ciò che sta avvenendo in questi territori, dal 2014. Cento anni dopo si sta combattendo una guerra armata, iniziata cento anni prima con un processo di colonizzazione di territori avvenuto attraverso l’insediamento di persone, che hanno imposto la propria lingua ed i propri usi e costumi.
Le cose sono andate molto diversamente sul fronte polacco. L’impero austroungarico sotto il quale si trovavano alcuni territori ucraini, tra cui la città di L’viv, lasciava molta autonomia alla popolazione ucraina cercando piuttosto di godere dei vantaggi della fusione di queste diverse culture.
Quando crollarono sia l’impero austroungarico che quello russo, il popolo ucraino si convinse che era finalmente giunto il momento della propria proclamazione a stato sovrano dei propri territori. E di fatti per pochi, ma intensi e tumultuosi mesi, l’Ucraina visse l’esperienza dell’indipendenza, fino alla rivoluzione d’Ottobre.
Nel 1917, durante la Prima Universale della Rada centrale, il rivoluzionario ucraino Trotsky dichiarava: “Popolo ucraino! Il tuo futuro è nelle tue mani. In quest’ora di prova, di assoluto disordine e di collasso, dimostra con la tua unanimità e la tua saggezza nel governo che tu, nazione di produttori di grano, puoi prendere orgogliosamente e con dignità il tuo posto da eguale di qualsiasi nazione potente e organizzata. Noi non entreremo nel regno del socialismo in guanti bianchi e su un pavimento lucido.”
Nel 1922 entrò ufficialmente a far parte dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, dopo che l’Armata Rossa ne invase i territori. E ne fece parte fino al 1991, anno in cui venne ufficialmente dichiarata una Repubblica indipendente, con la propria moneta, la propria lingua, le proprie tradizioni e, soprattutto, i propri confini geo-politici.
Ma nei quasi 70 anni di dominio sovietico, l’Ucraina ha visto violato ogni diritto di difendere la propria identità culturale e storica. Come ho già detto, la lingua ucraina fu vietata ovunque. Anche parlarla in famiglia era pericoloso in quanto, in tempo di Unione Sovietica, come sappiamo, anche i muri avevano le orecchie e non era raro essere denunciati da un vicino di casa o da un collega di lavoro per avere utilizzato una lingua bandita o citato un poeta ucraino. Insegnare la lingua russa, la cultura e la storia della Russia nelle scuole di tutte le repubbliche facenti parte dell’Unione Sovietica è stata la più efficace colonizzazione che la Russia potesse mettere in atto. Colonizzare un cervello ancor prima che un territorio.
Questo il popolo ucraino non l’ha mai accettato, anche perchè, negli anni, ha dovuto subire violenze anche peggiori. Come il genocidio perpetrato da Stalin nei confronti dei contadini ucraini. Una vera e propria strage attuata attraverso la sottrazione del grano, delle sementi e del cibo. Questo abominio prende il nome di Holodomor che in lingua ucraina significa “infliggere la morte attraverso la fame”. E tra il 1929 e il 1933, furono oltre quattro milioni gli ucraini, principalmente contadini, che morirono a causa delle leggi imposte da Stalin.
E’ evidente che questo passato ha pesato molto sul popolo ucraino che ha sempre sentito forte la propria identità. La costruzione della centrale nucleare aveva un sapore di riscatto, come ho scritto all’inizio dell’articolo. E per sedici anni ha donato a questo popolo una certa ricchezza, sempre seppur rinunciando all’utilizzo della propria lingua, della propria musica, della cucina e delle letture dei poeti ucraini. Anche perchè, contestualmente all’avvio del polo nucleare, nuovamente tantissimi russi erano stati trasferiti in questa terra, portando con sè la lingua “dominante” e tutto ciò che ne consegue.
L’atteggiamento del Politburo, nei giorni successivi all’incidente all’unità 4, fu per gli ucraini l’evento scatenante per l’ennesima ribellione. La censura sovietica a discapito della salute della popolazione, i ritardi nelle comunicazioni, nell’evacuazione e negli interventi di messa in sicurezza dell’area interessata dal fallout nucleare, rappresentavano l’ennesimo sopruso nei confronti di questo popolo. E nuovamente scesero in campo i poeti, gli scrittori e gli artisti tutti perchè il popolo ucraino si è sempre identificato moltissimo nei cervelli di questi grandi divulgatori.
L’Unione Sovietica era già un sistema in grande crisi e gli eventi di Chornobyl rappresentarono la frattura più grossa che gli ucraini, in primis, si impegnarono ad allargare per raggiungere quell’indipendenza agognata da secoli. Oggi l’Ucraina è uno stato sovrano, con la propria moneta, il proprio governo, la propria lingua e le proprie leggi. La questione della Crimea, aperta nel 2014 e ancora in corso, è ritenuta un’invasione di territorio a tutti gli effetti, in violazione al Memorandum di Budapest. Quest’ultimo è stato firmato il 5 Dicembre 1994 e prevedeva l’impegno dell’Ucraina a smaltire l’enorme scorta di armi nucleari, ereditata proprio dalla dissoluzione dell’URSS. In cambio, riceveva garanzie da Russia, Stati Uniti, Regno Unito, Cina e Francia a tutela della propria sicurezza, indipendenza e integrità territoriale. In questa occasione l’Ucraina si disarmò completamente, rimanendo scoperta al momento dell’invasione russa nel Donbass.
L’Ucraina ha fatto riferimento a questo trattato per ricordare alla Russia che si è impegnata a rispettare i confini ucraini. Gli altri firmatari che ne sono garanti e gli Stati Uniti hanno sostenuto che il coinvolgimento russo viola i suoi obblighi nei confronti dell’Ucraina ai sensi del Memorandum di Budapest e in palese violazione della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina, motivo per cui hanno risposto a questa invasione con una serie di sanzioni, ancora in atto.
Quando state per dare del russo a un ucraino, contate fino a dieci prima di parlare. Potreste scatenare un incidente diplomatico davvero imbarazzante.
Di tutto questo vi abbiamo parlato insieme a Katia Sadilova, nell’intervista a questo link: https://www.youtube.com/watch?v=ameFxxrVjJM (Unica intervista ad essere stata parzialmente censurata da YouTube, delle decine che ho realizzato negli ultimi mesi.)
Di seguito il link per l’acquisto del libro “La grande carestia-La guerra di Stalin all’Ucraina” di Anne Applebaum: https://amzn.to/3GK9t71
Dopo l’attacco della Russia all’Ucraina, il 24 Febbraio 2022, ho sentito la necessità di approfondire e studiare alcuni atteggiamenti che riguardano la cultura russa e il suo presidente. Ne ho parlato spesso nei miei canali social (Facebook e Telegram) e pertanto, a seguito, vi lascio alcuni link di approfondimento che riportano ad articoli e letture, a parere mio fondamentali, per capire ciò che sta succedendo.
In proposito al “fenomeno” del nazismo in Ucraina vi suggerisco questi articoli di Massimo Introvigne (in ordine di lettura):
- https://bitterwinter.org/nazisti-in-ucraina-1-nazionalismo-e-antisemitismo/
- https://bitterwinter.org/nazisti-in-ucraina-2-stepan-bandera-germania-nazista/
- https://bitterwinter.org/nazisti-in-ucraina-3-neonazisti-in-ucraina/
- https://bitterwinter.org/nazisti-in-ucraina-4-il-caso-kovalenko-uno-pseudo-nazismo-creato-dai-russi/
- https://bitterwinter.org/nazisti-in-ucraina-5-arriva-il-battaglione-azov/
- https://bitterwinter.org/nazisti-in-ucraina-6-combattenti-nazisti-filorussi/
- https://bitterwinter.org/nazisti-in-ucraina-7-propaganda-russa/
Al contempo vi suggerisco due libri illuminanti. “Brigate Russe” di Marta Ottaviani (qui il link per l’acquisto: https://amzn.to/3jmucV1) per comprendere appieno il fenomeno della guerra ibrida di Putin, la propaganda, la fabbrica dei troll, delle fake news e di come lo zar riesca ad ottenere consensi, nonostante il suo atteggiamento aggressivo e pericoloso. Altra lettura fondamentale (soprattutto in previsione delle elezioni del 25 Settembre 2022) è “Oligarchi” di Jacopo Iacoboni (qui il link per l’acquisto: https://amzn.to/3QuWjA6). In questo libro si ricostruisce la rete di rapporti in Italia degli oligarchi russi: troveremo i rapporti dei servizi segreti italiani sugli investimenti fatti per sostenere operazioni di influenza politica, i passaggi in Italia degli avvelenatori di Skripal, la ricostruzione puntuale dei giganteschi flussi di denaro dalla Russia verso il nostro paese. Così come le relazioni e le onorificenze della Repubblica a personaggi sanzionati da Usa e Ue e le timidezze dei due governi Conte. La Russia ha la quota più rilevante al mondo di dark money, soldi opachi detenuti all’estero. L’Italia è uno dei pezzi di questo grande gioco. Forse uno dei più compiacenti, in Occidente.
Letture fondamentali sono tutti i libri della Politkovskaja, che mi rammarico di aver affrontato solo ora, e non quando uscirono, quasi vent’anni fa. L’autrice, molto nota a livello mondiale, documentò le due guerre cecene e si battè strenuamente per la difesa dei diritti umani in Russia. Si è impegnata soprattutto nel documentare il livello di degrado e violenza che stavano alla base della gerarchia all’interno dell’esercito russo. E’ stata assassinata a Mosca nel 2006. I suoi libri risalgono agli inizi del 2000 e oggi, purtroppo, sono spaventosamente attuali.
Suggerisco caldamente “La Russia di Putin” (qui il link per l’acquisto: https://amzn.to/3jFYAdr.) e “Diario russo” (qui il link per l’acquisto: https://amzn.to/3PL0vw6). Nel web viene presentati come: “il testamento morale di Anna Politkovskaja, ma anche la spiegazione implicita del suo assassinio, avvenuto il 7 ottobre 2006 e rimasto impunito. Il libro ricostruisce infatti in dettaglio, su basi rigorosamente documentarie, anni cruciali della storia russa contemporanea. Rispetto alla Russia di Putin, questa volta la verità sul Paese non si rivela attraverso un affresco polifonico, storie convergenti che solo alla fine individuano il loro motore immobile nella figura di Putin. Qui la prospettiva è rovesciata: si parte dal centro stesso del potere, documentando giorno per giorno lo scaltro gioco politico che ha portato alla morte della democrazia parlamentare russa e al progressivo contrarsi della libertà di informazione. Una morte annunciata già nel 1999, ma divenuta palese con l’elezione pilotata della Quarta Duma nel dicembre 2003 e l’indebolimento del fronte democratico. L’esplosione nella metropolitana di Mosca, il crollo del Parco acquatico di Jasenevo, l’insabbiamento dell’inchiesta sull’eccidio al teatro Dubrovka, l’assassinio del presidente ceceno Achmet Kadyrov e l’eccezionale intervista a suo figlio Ramzan, le testimonianze sul sequestro di Beslan, le cosiddette «azioni terroristiche di Al-Qaeda nel Caucaso»: sono solo alcune tappe di un viaggio perturbante nella storia di ieri. E la formula del diario permette di ricostruire i passaggi intermedi di avvenimenti che hanno sconvolto la Russia e insieme le loro connessioni con la politica, spesso sfuggite ai media occidentali. Passione civile, pertinace ricerca della verità, coraggio davanti al pericolo, volontà di giustizia hanno fatto di Anna Politkovskaja non solo «la coscienza morale perduta della Russia» – come qualcuno ha scritto – ma, ancor meglio, la coscienza morale «salvata» della sua terra.”
Altra lettura fondamentale, “L’inverno sta arrivando” di Garry Kasparov, campione del mondo di scacchi e attivista russo contro il regime di Putin: