L’ospedale di Pripyat, per me, non ha nome in italiano: si chiama semplicemente “Pripyat hospital”. Perchè? Perchè è uno dei luoghi più noti di questa città e della triste storia che l’avvolge, ed è universalmente conosciuto con questo nome. Credo che sia anche il luogo più inquietante dell’intera zona di esclusione di Chernobyl. Il più freddo, il più pauroso e senza dubbio il luogo più radioattivo al mondo (accessibile all’uomo). E’ un luogo “must have” per chi visita la Zona.

All’epoca dei fatti il suo nome era “ospedale nr 126”. I nomi degli edifici pubblici, in epoca sovietica, si limitavano semplicemente a un numero. Questo edificio è divenuto, suo malgrado, tristemente famoso da quella notte del 26 Aprile 1986. Fino a quella sera era stato anche luogo di gioie, in quanto dotato di sala di neonatologia e a Pripyat, si sa, nascevano davvero tanti bambini. Le statistiche parlano di un terzo della popolazione composta da bambini. D’altronde, essendo una città strettamente dipendente dall’impianto nucleare, i suoi abitanti godevano di uno stipendio sopra la media che permetteva loro di creare famiglie numerose.

Ma da quella sera tutto cambiò. Verso le due di notte, molti pompieri che erano intervenuti per domare le fiamme alla centrale nucleare, arrivarono al pronto soccorso in preda a sintomi da radiazione acuta. I medici, uomini di scienza, furono i primi a rendersi realmente conto di ciò che stava tragicamente accadendo. Spogliarono i vigili del fuoco della divisa che indossavano e gettarono tutto nei sotterranei, sapendo bene che quegli abiti altamente contaminati erano pericolosissimi e dovevano essere tenuti lontani dalle persone. Non avendo un luogo dove stoccare queste “bombe radioattive” ed essendo in preda ad una emergenza mai vissuta prima, scelsero i sotterranei in quanto non frequentati dal personale e perchè auspicavano che il cemento armato che divideva i piani li avrebbe protetti dalla contaminazione. Non avevano tutti i torti. Quelle divise si trovano ancora in quei sotterranei ed è proprio a causa della loro presenza se l’ospedale di Pripyat risulta essere il luogo più contaminato al mondo (pericolosamente) accessibile. Nonostante negli anni le autorità ucraine abbiano provato in tutti i modi a chiudere l’accesso a quelle cantine, non sono mai mancati gli scellerati che hanno trovato il modo di aprire qualche pertugio per avventurarsi là sotto. Qualcuno ha portato in superficie un piccolissimo brandello di tuta di un pompiere ed avvicinandosi con il contatore geiger si nota come impazzisca improvvisamente segnando valori altissimi (quasi 300 microSievert/ora. Questo è uno dei valori più alti rilevabili nella città di Pripyat, insieme a pochi altri “hot spot”. Per rendere l’idea: in prossimità del nuovo sarcofago che protegge il reattore esploso si rilevano valori intorno a 1 microSievert/ora, valore riconducibile ad una radiografia convenzionale). Quindi, se un piccolo brandello emana un tale quantitativo di radiazioni, a quasi 33 anni dal disastro nucleare, non oso immaginare cosa si possa trovare in quei sotterranei. Penso che si tratti di quanto più vicino all’Inferno io possa immaginare. (A questo link trovate un video che ho realizzato proprio nella hall dell’ospedale:  https://www.youtube.com/watch?v=S1vQe8hp1pA)

All’interno dell’ospedale fa sempre freddo, anche d’estate quando fuori la colonnina di mercurio segna temperature africane. L’umidità è elevatissima e acqua mista a ruggine e non so che altro sgocciola sempre dal soffitto. L’odore è acre e si mescola con l’amaro in bocca che produce il pensiero di ciò che avvenne quella notte. Un’ala è stata data alle fiamme per bruciare tutti i registri contenenti dati sensibili della popolazione. Passando tra i lettini di neonatologia e la sala parto l’ansia si fa davvero insostenibile. Confesso (e chi ha viaggiato con me lo sa bene) che non amo affatto entrare dentro questo edificio. Quando mi trovo all’interno dell’ospedale, la mia proverbiale parlantina si riduce a conversazioni telegrafiche perchè fatico davvero a sostenere la pesantezza che queste mura racchiudono. Nonostante si tratti di una tappa fondamentale di ogni mio viaggio, nonchè della storia della Zona di esclusione di Chernobyl, sono poche le fotografie che vi ho scattato e risalgono tutte al mio primo viaggio, quando credevo che non sarei mai più tornata quaggiù. In realtà, sono tornata decine di volte, ma ho smesso di scattare foto. Nemmeno gli asili con le loro bamboline abbandonate e le scuole colme di libri e quaderni, mi fanno questo effetto.

Talvolta vedo passare in rete video che titolano “I dieci luoghi più inquietanti al mondo” e l’ospedale 126 di Pripyat è sempre in vetta alle classifiche. Confermo che hanno ragione. E’ il luogo più inquietante in cui io sia mai entrata.

(Di quei pompieri, quasi nessuno sopravvisse al mese di Maggio. Ho avuto l’onore di incontrare uno di questi sopravvissuti nel 2016, proprio durante il trentesimo anniversario del disastro nucleare. Nel parlo nel mio blog: https://www.francescagorzanelli.it/chernobyl/volodymyr-da-vigile-del-fuoco-di-chernobyl-a-pope/)