Navigando nel web ho trovato un articolo che titolava: “Il museo dell’orrore a cielo aperto: benvenuti a Pripyat”
E prosegue: “Se fosse un parco a tema, sarebbe uno dei posti più spaventosi dove andare ad Halloween. Purtroppo questa è la terrificante realtà. Siamo a Pripyat, in Ucraina, la città fantasma tristemente più nota al mondo. Se a qualcuno questo nome non dicesse niente, sarà un altro a farvi suonare il campanello: Chernobyl. La città resa nota a causa dell’incidente nucleare più drammatico della storia si trova a meno di 15 km a nord ovest di Pripyat che da quel tragico giorno è divenuta un macabro luogo totalmente abbandonato.”
Non condivido una sola parola scritta da questa persona.
Pripyat non è macabra e non è un museo dell’orrore. E’ evidente che chi ne parla così, non c’è mai stato.
Come tutta la Zona di esclusione di Chernobyl è un luogo meraviglioso pieno di natura rigogliosa, animali selvatici e stupendi oggetti che raccontano la storia come nè i libri, nè i giornalisti, sono in grado di fare. Questi territori rappresentano il più grande museo a cielo aperto che il mondo abbia a disposizione.
Qui tutto è rimasto fermo al 1986, con la Guerra Fredda in corso e l’Unione Sovietica al potere. Qui, e solo qui, si possono ancora trovare i simboli di quell’epoca e la vera architettura comunista. (ve ne parlo dettagliatamente in questo articolo: https://www.francescagorzanelli.it/chernobyl/ledilizia-sovietica-pripyat-la-citta-modello/)
Nulla è cambiato. Di macabro non ho mai visto nulla. Questi territori e le persone che vi vivevano hanno sì subito un gravissimo evento, incomprensibile per noi che non l’abbiamo vissuto, però l’evacuazione è avvenuta con ordine e disciplina. Non si fuggiva dalla devastazione della guerra, bensì da un nemico invisibile, inodore e insapore, in modo ordinato e con la promessa (mai mantenuta) di fare rientro alle proprie case entro 3 giorni.
Pripyat era la città modello sovietica, letteralmente studiata a tavolino per essere funzionale e piacevole da vivere. Era stata costruita nel 1970 per accogliere i lavoratori della centrale nucleare e le loro famiglie. Ospitava circa 45ooo abitanti, la cui età media era di 26 anni. Famiglie giovani che vivevano in contesto che offriva molto di più rispetto alle città del resto dell’Unione Sovietica. In quasi tutte le famiglie vi erano almeno due bambini ed erano tantissime quelle con tre figli. La città offriva 15 asili nido, 5 scuole (una per ogni distretto), 18 dormitori per single e un numero inquantificabile di appartamenti civili.
Questa città funzionava talmente bene che molti storiografi suppongono che, se non ci fosse stato l’incidente e se l’URSS esistesse ancora, Pripyat avrebbe raggiunto gli 80ooo abitanti e sarebbe probabilmente divenuta la capitale della Ucraina. Dopo il disastro, il Governo Sovietico ha provato a replicare con Slavutych (ve ne parlo qui: https://www.francescagorzanelli.it/chernobyl/slavutych-la-gemella-di-pripyat/), ma pare che anche questa cittadina sia destinata a vedere il tramonto nei prossimi anni, con la decommissione definitiva della centrale nucleare Lenin.
Ciò che Pripyat trasmette oggi è una grande tristezza, mista a determinazione e dignità. Quando si parla della storia di Chernobyl occorrerebbe pesare le parole ed evitare di sceglierne di sensazionali, a parere mio.
Questi territori non sono solo un meraviglioso museo a cielo aperto, bensì sono la rappresentazione vivente del termine “resilienza”. Tutti hanno reagito a ciò che è avvenuto. Dalle persone agli animali. Come abbiamo potuto riprendere nel documentario girato per Niagara, condotto da Licia Colò, andato in onda su RAI2, che trovate qui: https://www.youtube.com/watch?v=9wogjLA6W3E
Dal 2015 la mia mission è solo una: togliervi la bruttura che avete negli occhi quanto pensate a Chernobyl, Pripyat e alla Zona di esclusione, e farvi spalancare la mente su quanta vita ci sia ancora in queste terre. Vita non facile, vita che deve affrontare ogni giorno un nemico invisibile, inodore, incolore…ma vita!
Non so se le mie parole e le mie fotografie sono in grado di trasmettervi l’amore che provo per questa meravigliosa terra.